da BAD DREAMS VOL. 1 by M.E.
...Era un Natale e non mi trovavo nella mia casa attuale ma nella prima abitazione dei miei genitori che abbandonai da molto piccola. La casa era molto modesta, di piccole dimensioni, con vecchi mobili, con le assi in legno nel piano superiore che scricchiolavano, con una muffa nella piccola camera di mio fratello. La tavola era comunque ben imbandita e soprattutto c’era un bel regalo per me con cui giocavo assieme a mio fratello, un paffutello ragazzo. Il regalo in questione me lo ricordo ancora bene, era una valigetta blu che conteneva tutto l’occorrente per pettinare le bambole, all’interno c’era uno specchietto rosa che mio fratello giocava a togliermi di mano quando iniziavo ad ammirarmi. Era un momento di gioia che avevo completamente cancellato e che venne interrotto da un altro pensiero. Mi chiedevo che nesso poteva avere tutto ciò con le paure di mia madre quando iniziai ad inquadrare meglio la casa dove vivevamo molti anni fa. Ed ecco che i ricordi riaffiorarono a sprazzi. Iniziai a ricordare che dietro la nostra piccola casetta persa in mezzo alla campagna c’era una casa fatiscente che ospitava gente strana e che mi incuteva molto timore. C’era anche una donna che spesso si avvicinava alla nostra terra e infastidiva mio padre mentre lavorava nei campi. Lui la chiamava la Matta, usciva di casa con una vestaglia logora bianca e trasparente e molto spesso sotto aveva soltanto le mutande e una canotta anch’essa logora. Era una donna esile, molto alta, aveva un collo lunghissimo e un naso abbastanza pronunciato, era giovane come la mia mamma ma dimostrava almeno 20 anni di più. La pelle era buterata e chiarissima e contrastava con i capelli ebano che a volte teneva sciolti come serpenti che le correvano lungo la schiena, ma la maggior parte delle volte li teneva raccolti in una specie di groviglio che sembrava un nido di rondini.erano sempre unti quei capellli, viscidi, crespi, a nodi..vivevano di una vita propria.
Per me era la strega di Biancaneve e per mio fratello invece era definita come la Cosa. Mio fratello si divertiva a portarmi a spiarla di nascosto e da lontano per farmi morire di paura prima di addormentarmi. La muffa e la Cosa erano ciò che più mi terrorizzavano in quegli anni. Avrò avuto al massimo 5 anni, forse meno e quel periodo, quella casa, quella Cosa, l’avevo totalmente dimenticate.
Dopo poco tempo dalla mia nascita venne a stabilirsi nella casa dietro la nostra una famiglia di gente strana, sembrava ci fosse un padre con i suoi 7 figli tra cui una figlia con seri problemi di depressione alle spalle. Il capo famiglia morì poco dopo per cause poco chiare, le voci mormoravano che morì massacrato per mano dei suoi stessi figli. I miei genitori all’epoca non avevano molto denaro messo da parte e decisero di non farsi intimorire dalle voci del paese ma di tenere duro nella loro piccola casetta con i loro pochi filari di vigna e i 4 campetti che la circondavano nei restanti 3 lati. Non avrebbero mai potuto trovare una sistemazione migliore per i propri figli e cercarono in tutti i modi di distrarci dalle brutte storie raccontandocene delle altre. Non calcolarono di avere di fronte un adolescente che assorbiva tutto da ciò che lo circondava. La Cosa era diventata un vero e proprio incubo per mio padre. Ogni volta che, tornato dal lavoro andava a rilassarsi sul campicello coltivandolo, lei arrivava con la sua vestaglia trasparente, mezza nuda a urlargli che lo voleva. Nel primo tempo mio padre si limitava a riportarla a casa dai fratelli che poi iniziavano a imprecare contro di lei. Ma dopo che anche mio fratello fu vittima delle avances della Cosa, papà e mamma si unirono per cacciarla dalla nostra proprietà. Tutto questo fece arrabbiare ancora di più la Cosa che iniziò a perseguitarci anche di notte urlando sotto la finestra della camera dei miei. I carabinieri ormai ci avevano fatto l’abitudine, la nostra casa di notte era più frequentata della caserma. Un giorno la Cosa tagliò i fili del nostro telefono e iniziò a sbattere con la testa contro la porta di ingresso. Per nostra fortuna ad un certo punto svenì e il giorno dopo i carabinieri la trovarono in mezzo al vigneto tutta imbrattata di sangue con la testa fracassata. Più volte i suoi famigliari vennero sollecitati a ricoverarla in qualche istituto ma il fratello maggiore continuava a promettere che se ne sarebbe preso cura lui. Sembrava proprio così e per periodi lunghissimi non si vedeva proprio in giro. Spariva e ricompariva di raro nel cortile della sua casa assieme ai maiali, alle galline e ai cani. Era un cane randagio anche lei, senza padrone, senza controllo, senza regole, senza senno. Soltanto i fratelli, quando rientravano da lavoro, la riportavano dentro casa, altrimenti di giorno era come una delle scrofe e faceva e mangiava le loro stesse cose.
Per mia fortuna non ricordo niente di quei momenti ma immagino il terrore dei miei famigliari...
... Prendemmo la macchina e ci recammo su questo paesino sperduto della provincia di Treviso. La nostra casetta era un rudere. Il tetto sembrava imploso, non esistevano più gli infissi, il vigneto era ormai un groviglio di rovi e sterpi, i campi erano ormai una boscaglia indefinita, davanti alla nostra casetta c’era una bella cascina di recente costruzione. Parcheggiai la macchina e vidi una ragazza nel giardino della cascina. Mamma restò all’interno dell’auto. La ragazza mi disse che era incavolata con i vicini di casa, troppo rumorosi e sporchi. L’odore di putrido e marcio arrivava fino a li. Le chiesi chi fossero i vicini e lei mi disse il cognome che non avrei mai voluto sentire. Erano ancora li tutta la famiglia al completo compreso la Cosa. Non dissi niente a mia madre, entrai in macchina girai la chiave e andai a fare inversione di marcia in una stradina poco più avanti. La strada era di sassi e in discesa e dava su una specie di piccola azienda agricola. Un vecchietto seduto su una panca mi salutò imprecando e mi chiese in un dialetto incomprensibile dove stavo andando. A quel punto mi inventai la balla di aver perso la strada mentre cercavo un nuovo cliente, salutai e finalmente iniziai a girare il volante per tornarmene indietro quando comparì un cane legato a catena che iniziò ad abbaiare ferocemente alla mia macchina. Un brivido percorse la mia schiena quando mi accorsi che il cane oltre alla rogna aveva una parte del muso completamente sfregiato e ancora sanguinante. Assieme a quell’orrore uscirono altri mostriciattoli umani di varie misure che si avvicinavano minacciosi al’auto mentre il nonnetto se la rideva con il suo unico dente. Corsi via mentre mia madre mi sussurrò: “ è ancora viva quella famiglia, me lo sento..sono loro!”. Ma non finì nemmeno la frase che in lontananza, tra le sterpaglie vedemmo chiaramente la Cosa...
...Aspettai qualche settimana per collezionare un po’ di coraggio e andai da sola a verificare la vera esistenza di quella famiglia. Mi presentai nel cortile della catapecchia come se stessi andando da un normale cliente. Uscì un Signore all’apparenza normale anche se emanava un odore indescrivibile. Iniziai a presentare l’azienda per cui lavoro e le novità sugli integratori per suini. Lo spunto mi venne osservando il gran numero di scrofe e lattonzoli che andavano dentro e fuori la casa. C’erano ancora galline, gatti senza coda o zampe, cani storpi, topi ed escrementi di tutte le sorti. Feci finta di intraprendere un discorso con lo zoticone mentre scrutavo attentamente ogni singolo particolare. La casa sembrava priva di genere umano al suo interno. Tra me e me mi convincevo che forse La Cosa non esisteva più e che nella casa era rimasto solo uno dei fratelli.
Il mio intuito si sbagliava, infatti una specie di animale a due zampe si avvicino alla mia macchia sospettoso. Il tipo che parlava con me gli urlò dietro e mi spiegò che il cugino non aveva mai visto un’ automobile dal vivo e mi invitò a bere un caffè. Ma chi avrebbe avuto lo stomaco per prendere un caffè in un letamaio in compagnia di due bestie? Ringraziai cortesemente e lasciai la cascina prendendo la strada che scendeva ripidamente verso il centro paese. A circa un chilometro di distanza parcheggiai la macchina e mi incamminai per scovare qualche altro indizio utile. Durante la passeggiata il mio cuore batteva a mille, da un lato avevo la curiosità che mi spingeva a vedere nuovamente e chiaramente la Cosa, dall’altra la paura mi frenava. Decisi di rinunciare e ritornare alla macchina. In quel momento mi accorsi di un gruppo di ragazzetti in bici che giravano nel parcheggio. Chiesi loro se avessero qualche problema e loro mi risposero: “ma tu signora hai una macchina e puoi andare lontano con quella?”. risposi loro freddamente, credevo mi prendessero in giro ed entrai in auto.
Dallo specchietto retrovisore mi accorsi che degli uomini richiamarono i ragazzi imprecando e facendoli cadere dalle biciclette iniziarono a bastonarli, mi rannicchiai e mi chiusi dentro l’abitacolo assistetti a quella scena raccapricciante senza intervenire. Ero terrorizzata. Troppi uomini, troppo armati di bastone, presi il cellulare per chiamare il pronto intervento ma in quel punto non prendeva. Una volta finito il pestaggio e sparite sia vittime che carnefici, mi spostai con l’auto verso l’inizio della discesa per poter telefonare. Non ho idea del perché ritornai su. Non era stata una mossa razionale.. Subito dopo il primo tornante mi accorsi della Cosa che, in lacrime, continuava a infierire sui ragazzi con ceffoni e urlandogli: “ disgraziati, avete abbandonato la vostra mamma, maledetti, volevate scappare vero? Dove avete rubato le biciclette? Volevate rubare la macchina per andare lontano dalla vostra mamma e dai vostri zii???”.
A quel punto non potevo tornare indietro. Mentre lentamente passavo, con il finestrino aperto.
La Cosa mi fissò e il suo sguardo vuoto e freddo penetrò il mio gelandomi il cuore. Era lei con la vestaglia e i capelli ormai grigi come i suoi occhi. La Cosa era invecchiata, era però così viva mentre percuoteva i suoi figli.
Corsi nel paese al di là della collina per bere un bicchiere d’acqua. Le mani erano fredde, la paura mi fece venire i brividi su tutto il corpo, sudavo, le gocce che cadevano erano congelate. Il barman si preoccupò e mi chiese ironicamente se avevo visto un fantasma e io feci un cenno affermativo con la testa. Mi raccomandò di non fare più la presa per raggiungere quel paese ma di percorrere la statale. Non era la prima volta che gli arrivavano viaggiatori in preda al panico. Il barista mi spiegò che dall’altra parte della collina abita un nucleo di gente strana e pericolosa che definisce la presa 82 la loro strada. Mi tranquillizzò dicendomi che quella gente non mi poteva fare più del male perché non scendeva mai da li. Dovevo stare tranquilla.. Era tutto finito. Mi offrì due dita di grappa e una sigaretta per infondermi incoscienza e ritornare a casa il più possibile calma...
to be continued...